Written by tamara in Sviluppo mentale.
L’aggressività in un bambino è sempre segnale di un disagio o di una frustrazione.
Ovviamente in merito ci sono fior fior di studi da parte di svariati psicanalisti. Qui non si vuole fare psicanalisi ma solamente fare un quadro generale di ciò che passa nella testa di un bambino nella prima parte della sua infanzia, tenendo sempre presente che è giusto soddisfare i bisogni del bambino, ma è anche molto importante che esso sperimenti la sensazione della frustrazione, estremamente necessaria al suo sviluppo mentale.
Si è notato che l’irritabilità infantile raggiunge punte massime tra 1 e 3 anni per diminuire gradualmente fino a 5 anni e aumentare nuovamente tra i 6 e gli 8 anni. Questi ci fa dedurre che le difficoltà del bambino coincidono con i periodi in cui deve modificare il suo comportamento in base alle pretese dei genitori:
Freud è quello che ci dà la spiegazione più completa basandosi sulla sessualità infantile, dividendo l’argomento in tre punti principali:
La prima zona erogena è quella orale che è attiva già con il poppare del neonato che ricava piacere da ciò. Questo piacere poi non avrà più niente a che vedere con l’alimentazione per cui cercherà di succhiare altro come il suo dito.
Poi c’è la zona anale. Il bambino proverà particolare soddisfazione nell’evacuazione e ciò che si stacca da lui lo considera come parte di se stesso, come un dono che offre agli altri, con cui può dimostrare la sua obbedienza od ostinazione solo espellendo o trattendendo, concedendo o rifiutando. Qui suggerisco, quando si avvia il bambino al vasino, di inventare una storia sul viaggio che faranno le feci o semplicemente dare loro il saluto mentre si fanno scendere nel wc.
Infine la zona uretrale, quindi il piacere che ne deriva dalla funzione dell’urinare e dalle cure di pulizia della madre. Già durante il primo anno di vita proverà una forma di piacere ed eccitazione provocata dagli sfregamenti della mano nella zona genitale che riprenderà verso i 4-6 anni, per arrivare alla sua massima espressione nel periodo della pubertà, quando si ha la maturazione fisiologica dell’apparato genitale.
Il primo problema che si pongono i bambini è prorpio “da dove vengono i bambini?”, magari proprio perchè è in arrivo o sta per arrivare un fratellino. Generalmente, quando il genitore risponde in modo vago usando per esempio il mito della cicogna, pensa che il bambino sia soddisfatto della risposta, ma in realtà egli capisce perfettamente che il genitore non vuole rispondere alle sue domande per cui, delusi dal comportamento dei genitori, continuano le loro ricerche da soli.
Inizia quindi a fare le proprie teorie. Quando vede la pancia grossa della mamma appare ovvio che il bambino è li dentro, ma come ne uscirà? Nel suo immaginario potrebbe essere da una delle aperture del corpo, dal seno materno o da un incisione del ventre. Poichè non troverà soddisfacente nessuna di queste teorie, abbandonerà le ricerche. Ma prima di abbandonarle, inizierà ad interessarsi alla differenza dei sessi.
Inizialmente la differenza dei sessi per un bambino è solo un diverso modo di atteggiarsi o di vestirsi. Quando però per la prima volta vedrà i genitali del sesso opposto, rimarrà sorpreso e non accetterà la realtà. Anche qui farà i suoi ragionamenti, le sue teorie, il maschietto penserà che le bambine sono vittima di chissà quale calamità e temerà anch’egli di perdere il pene (se la paura viene rafforzata dagli adulti minacciandolo di portargli via quella parte se “non si comporterà bene” si forma il complesso di castrazione).
La bambina a sua volta, vista la differenza, attenderà che cresca anche a lei il pene; rimanendo delusa la sua aspettativa, prova un senso di privazione ed inferiorità nei confronti dei bambini. Può capitare che questo suo senso di inferiorità causi una forma di ribellione che, in età adulta, arrivi a rifiutare la sua femminilità per esempio desiderando ad ogni costo fare ciò che fanno i ragazzi e rifiutando la maternità.